La Cassazione ha confermato la sentenza d’appello dei riti abbreviati relativi alla colonna del Clan dei Casalesi che si era costituita in Veneto ad Eraclea, si legge in alcuni stralci della decisione della suprema corte: «i giudici di merito hanno disvelato l’esistenza a Eraclea e dintorni, di un’associazione a delinquere di stampo mafioso dedita a una vasta serie di reati e fiancheggiata da esponenti del mondo politico, bancario e istituzionale, nella quale Luciano Donadio rivestiva un ruolo di primazia in ragione della sua caratura criminale» (...) «La portata eversiva dell’organizzazione criminale emerge ancora con maggio evidenza considerando che non solo si è posta come organismo di regolazione delle controversie individuali in concorrenza con lo Stato (come nel caso dell’episodio estorsivo ai danni del broker Fabio Gaiatto), ma è arrivata ad insinuarsi nelle stesse istituzioni democraticamente elette, condizionando l’esito della competizione elettorale del 2016 ad Eraclea in favore di Mirco Mestre». «L’associazione è stata in grado di infiltrarsi negli stessi organi dello Stato condizionandone l’operato», continua la Cassazione, come nel caso «dell’assistente capo della Polizia Moreno Pasqual (...) Inoltre, il fenomeno malavitoso ha determinato anche un pervasivo inquinamento dell’economia legale, come dimostrato dai reati economici, societari e fallimentari» (...) «senza contraddizioni ha ravvisato plurimi elementi che indicano la “gemmazione” e il perdurante collegamento dell’associazione con i “Casalesi”, ai fini del controllo del territorio. Va riconosciuto il reato 416 bis in presenza di un’articolazione territoriale di una mafia storica (nella specie, la delocalizzazione del Clan dei Casalesi) allorché essa, per effetto del collegamento organico-funzionale con la casa madre, si avvalga di una forza intimidatrice intrinseca (...) nell’ostentazione di una vera e propria fama criminale ereditata dalla casa-madre» (...) «appaiono dimostrati i fitti legami esistenti tra Teso e Donadio, dai quali emerge come il primo abbia sollecitato voti al gruppo del Donadio e ottenuto da lui sostegno economico (....) le attività poste in essere da Teso nella vicenda dell’Hotel Victory, non sono altrimenti spiegabili (...) risulta dimostrato come Teso abbia svolto indebite pressioni, con uso privato della sua funzione pubblica, affinché avvenisse a qualsiasi costo la vendita dell’hotel per far rientrare Donadio dell’ingente sborso economico avuto, 2 milioni di euro».