Colpo al clan dei Casalesi, 37 arresti. Il figlio del boss Bidognetti aveva ordinato un omicidio dal carcere

Francesco Sandokan Schiavone Francesco Bidognetti

Sono 45 le persone coinvolte nella maxi operazione eseguita dal comando dei carabinieri di Caserta all’esito di un’indagine, coordinata dalla Dda di Napoli, sulla riorganizzazione del clan dei Casalesi, in particolare delle fazioni Schiavone e Bidognetti di Casal di Principe.

Tra i 37 arrestati figurano Gianluca Bidognetti, alias Nanà, figlio più giovane del boss Francesco Bidognetti, detto "Cicciotto e Mezzanotte", avuto da quest’ultimo con Anna Carrino, divenuta collaboratrice di giustizia, e le due figlie femmine Katia e Teresa, già state arrestate e condannate in passato perché portavano agli affiliati gli ordini impartiti dal padre durante i colloqui in carcere.

Questa volta le due sorelle, che avrebbero continuato a percepire lo “stipendio” dal clan, si sarebbero messe a disposizione del rampollo della famiglia, avviato alla carriera criminale già nel 2008, quando in piena stagione stragista fu coinvolto, su volere dell’allora sicario del clan Giuseppe Setola detto 'O cecàtë", nel tentativo di uccidere la zia, per punire la madre pentita.

Le misure cautelari tra carcere ed arresti domiciliari son state emesse dal Gip di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Ordinanze anche per il marito di Teresa e per il compagno di Katia. Disposti due divieti di dimora.

Nell’arco di oltre tre anni di investigazioni, gli investigatori hanno ricostruito l’operatività delle due fazioni, documentando una pluralità di reati che sarebbero stati compiuti da soggetti riferibili al gruppo criminale casalese che, a oggi, conserverebbe una struttura piramidale ben definita.

Le indagini hanno consentito di appurare lo svolgimento di incontri tra esponenti apicali delle due fazioni finalizzati a concordare il ripristino di una “cassa comune”, pur mantenendo la loro sostanziale autonomia nei termini operativi, economici e territoriali storicamente a loro appartenuti.

Un indagato, inoltre, avrebbe curato la pianificazione e la realizzazione delle dinamiche criminali della fazione Schiavone al fine di attuare il controllo capillare del territorio e il reperimento di somme di denaro indispensabili per il sostentamento del gruppo, affermandosi quale punto di riferimento non solo per gli affiliati ma anche per coloro che, sebbene non contigui al sodalizio, consapevoli della sua posizione di vertice, a lui si sarebbero rivolti al fine di giungere alla soluzione di controversie e dinamiche private.

La fazione dei Bidognetti sarebbe invece, ancora organizzata su vincoli di sangue e guidata dai familiari più stretti dello storico capo clan Francesco Bidognetti. In particolare, il clan sarebbe stato gestito da Gianluca Nanà Bidognetti, il quale, sebbene detenuto, avrebbe utilizzato telefoni cellulari illegalmente introdotti nella struttura carceraria – e rinvenuti con l’ausilio di personale del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, impartendo ordini e direttive funzionali alla direzione della fazione e a promuovere le attività illegali eseguite da sodali liberi, arrivando a organizzare un progetto omicidiario in pregiudizio di un noto affiliato, allo scopo di ridimensionare la sua ascesa criminale all’interno del clan. Altre due figlie dello storico capoclan, in ragione della loro appartenenza alla famiglia, avrebbero invece continuato a percepire stabilmente somme di denaro provento delle diverse attività delittuose.

Il gruppo dei Bidognetti eserciterebbe il controllo delle attività delle agenzie di onoranze funebri dell’Aversano, in virtù di accordi criminali stretti già negli anni ’80, attraverso un “consorzio di imprese”, che è stato sottoposto a sequestro; condurrebbe attività usuraie (con la cessione di somme di denaro in favore di imprenditori e cittadini, che, sebbene in condizioni di forte difficoltà economica, si sarebbero visti applicare tassi d’interesse finanche del 240%); avrebbe avuto la disponibilità di armi attraverso le quali avrebbe espresso la propria forza intimidatrice per assicurarsi il controllo del territorio.

Oltre al reato associativo, a carico di esponenti delle due fazioni sono stati contestati reati fine quali estorsioni in danno di numerosi operatori commerciali (al fine di piegarne la volontà, un imprenditore sarebbe stato attinto alle gambe da colpi d’arma da fuoco), traffico di sostanze stupefacenti e contestuale controllo dell’attività di cessione di droga realizzato da terzi soggetti, che sarebbero stati costretti a versare denaro a esponenti del clan per garantirsi la gestione delle piazze di spaccio.